Dopo il primo impatto con la città di Lima, Elisa ci racconta la quotidianità del servizio civile, tra farmaci da smistare, verdure da tagliare e bambini felici per essere tornati al centro ricreativo dopo i lunghi mesi di lockdown

Il policlinico La Trinidad è un centro medico – l’unico della zona- al quale possono accedere, almeno ai servizi primari, anche le persone che non hanno l’assicurazione di base. Ci incamminiamo per i corridoi e ci immaginiamo come poteva essere prima di questa pandemia.
Hanno riorganizzato gli spazi in maniera impeccabile per far fronte alle misure sanitarie di sicurezza. Visitiamo il magazzino, ed è qui che staremo inizialmente. Farmaci italiani ci aspettano per essere registrati e catalogati in base al sistema interno.

Dividiamo la settimana tra il policlinico e i comedores populares, una realtà tipica e, mai più che ora, utile. Le donne si riuniscono in questo spazi adibiti a cucine improvvisate e cucinano in grandi pentole enormi quantità di cibo per chi non può spendere più di 2 o 3 soles per un pasto.
Guardiamo le mani esperte delle signore muoversi tra verdure di tutti i tipi, alcune mai viste, zampe di gallina e patate. Il nostro spagnolo non è ancora molto buono, perciò ci arrangiamo anche nella comunicazione, ma si sa, il cibo unisce le culture di tutto il mondo e quando c’è da assaggiare qualcosa abbiamo già il cucchiaio in mano!
Aiutiamo a pelare patate e carote, a tagliare verdure. Nonostante la difficile comunicazione, le signore sono felici di averci intorno. Ci spiegano le ricette dei vari piatti, ci coccolano e ci offrono anche quello che non hanno, ci sentiamo fin troppo privilegiate.
Una volta a settimana andiamo a fare la grande spesa per tutti comedores populares e le ollas comunes di competenza della nostra parrocchia. Non abbiamo mai visto così tante cipolle, patate e aglio tutti insieme. Prendiamo i nostri duecento chilogrammi di patate e, insieme alle altre verdure, li distribuiamo nei vari luoghi disseminati tra colline di sabbia e insediamenti umani. Vediamo anche come dal nulla sono stati creati questi luoghi così importanti e di vera solidarietà sociale.

Nella foto: Elisa, Martina e Greta, insieme ai volontari del Centro ricreativo Nuestra Señora

Il centro ricreativo “Nuestra Señora”

Il tempo passa velocemente e noi già dopo due mesi sappiamo come muoverci. I mezzi di trasporto qui sono diversi. I più belli ovviamente sono i mototaxi. Al secondo posto abbiamo le cosiddette “combi”: furgoncini in cui sono stati ricavati dei posti a sedere o veri e propri minibus. Ogni giorno è un’esperienza diversa. Il cobrador che urla le varie destinazioni, in bilico tra la portiera e la strada quasi come un acrobata; anche noi ormai siamo acrobate, saliamo e scendiamo al volo da questi mezzi, perché quasi non c’è tempo di fermarsi. La fermata si chiama con un metodo infallibile che è l’urlo. Quello che usiamo più spesso è: “Esquina baja, baja, BAJAAA!!!”. Corriamo fuori, su per una strada che sale all’improvviso con una pendenza considerevole. Arriviamo alla porta della cappella che ospita il centro ricreativo “Nuestra Señora” e vediamo i bimbi che arrivano e varcano la soglia con un sorriso enorme vedendo i loro compagni, dopo lunghi mesi di chiusura a causa della pandemia.

Il Covid-19 ha influenzato moltissimi settori ma quello dell’educazione più di tutti, in particolare in un paese come questo, dove la maggior parte delle persone che vivono in periferia non ha nemmeno una connessione internet né tantomeno la luce.
Il centro ricreativo è un luogo dove bambini e ragazzi possono ritrovarsi in uno spazio comune, giocare insieme, fare i compiti e partecipare a corsi di musica, teatro, karate ed educazione emozionale. Impacciate ma curiose, ci avviamo ogni pomeriggio verso questa nuova esperienza. Accogliamo i bimbi, li aiutiamo nei compiti, li facciamo giocare e intanto si scoprono anche i nostri sorrisi, la nostra voglia di metterci in gioco facendosi rincorrere da un bimbo di 4 anni.
Lo spagnolo sta migliorando, i bambini aiutano molto. Gli adulti capiscono ma non ti correggono se sbagli, mentre i bimbi se la ridono di gusto, ti prendono in giro e poi ti spiegano. È molto utile. Ogni giorno si aggiungono risate e confidenza. Diventiamo più capaci e gestiamo le aule, gestiamo corsi con le mamme, che anche loro qui ritrovano uno spazio diverso e sociale. Insegniamo l’italiano a dei bimbi entusiasti che imparano in fretta e che oramai ci salutano nella nostra lingua. Ci facciamo abbracciare da chi è più espansivo  e accarezziamo, anche solo con lo sguardo, chi  invece è molto più timido.

 

Il calore delle persone

Il clima non è dei migliori. Il sole ci regala poche ore di tepore e luce. Ma qui è la gente che porta dentro i colori del sole. Ci nutriamo di questi, aspettando la bella stagione. Tutti sin dall’inizio ci hanno accolto benissimo, tanto da  sentirci subito a nostro agio, nonostante l’ambiente a tratti ostile.
È una sensazione bellissima sentire di essere accolti in un paese straniero con cultura differente. Anche lo spirito delle persone è differente, molto più informale ma, se vogliamo, anche più libero di quello a cui siamo abituati.

Ci stiamo anche abituando alla quotidianità, alla divisione del tempo tra lavoro, tempo libero e commissioni. La spesa è quella che ci piace di più. Il mercato meriterebbe un capitolo a parte. Ogni volta che ci mettiamo piede è come la prima volta. Un’esperienza sensoriale a tutto tondo, in pieno stile sudamericano: urla, musica, canti, colore, cani, tantissimi polli e patate, cipolle e aglio e frutta. La frutta più buona che abbiamo mai assaporato. E proviamo tutto, iniziando dai frutti più strani e colorati.
Stiamo conoscendo le varie postazioni dove comprare il mango più buono o i pomodori più belli. Un misto di odori e profumi ci accompagna. Prepariamo pranzi e cene all’italiana con pasta e ragù, risotti e arancini. Mangiamo anche molto peruviano, i pranzi sono a base di menu del comedor. A parte riso, patate e zuppa del giorno, rigorosamente con pasta, c’è anche pesce, tortillas di verdure, riso alla chaufa. Ognuna di noi ha già il suo piatto preferito. La cucina qui è questione di orgoglio. Non c’è un peruviano orgoglioso che non ti domandi: “E la cucina ti piace? Cos’hai assaggiato?”.È bellissimo scoprire altre ricette o la moltitudine di varianti di ceviche (tipica ricetta peruviana a base di pesce crudo marinato e spezie), da provare al più presto.   

Altra cosa che unisce mondi e culture è la musica. Qui è ovunque e, come nei mototaxi, a ogni ora. Inonda le strade e, a volte, non si capisce bene da dove arrivi. Solo quando alzi lo sguardo e vedi le ragazze ballare da un secondo piano non ancora concluso di una casa mai finita, allora ti rendi davvero conto che sei in Sud America. Il ritmo è parte fondamentale delle giornate, non si può spegnere. Il reggaeton a tutto volume dei mototaxi la fa da padrone, ma poi c’è anche la cumbia, la música criolla (musica peruviana con influenze della musica africana, europea e andina, ndr), la salsa, il festejo e non possiamo non rimanerne impressionate. Ci mancherà sicuramente.

Abbiamo altri mesi davanti, non siamo nemmeno a metà dei nostri 12 mesi. Una prima forma di equilibrio l’abbiamo trovata, ora bisognerà solo approfondire e migliorare la nostra esperienza. Vedremo cosa ci riserverà l’estate. Non vediamo l’ora!

Elisa Cavalli, operatrice volontaria Servizio civile